Una svolta? Parla Rudy Travagli, neo-presidente di Noi di Sala: mai ricevute tante candidature come in questi mesi, e son tutti giovanissimi. «Seguiamo le regole, non sfruttiamo nessuno, paghiamo regolarmente. Smettiamola di parlar male di questo lavoro»
Emergenza sala? Un leitmotiv che ci accompagna da anni. Ma… «Non mi sono mai arrivati tanti curricula, quanti negli ultimi mesi. Sono tutti di persone che vogliono intraprendere la professione di cameriere. E, altra nota positiva, si tratta perlopiù di giovani o giovanissimi». Un punto di vista così diverso su un tema dibattuto allo sfinimento è di per sé una notizia, e nello specifico una notizia che ci fa piacere. Tali parole sono ancor più significative quando a pronunciarle è Rudy Travagli, ossia il neopresidente di Noi di Sala, l’associazione nata proprio con lo scopo di rivalutare la professione del cameriere nella ristorazione.
«Mi prenderanno per pazzo», ci confida Travagli, prima di dire la sua. E di certo bisogna precisare subito che lui parla innanzitutto della propria realtà aziendale, non di un trend generale e consolidato, non di una inversione di tendenza accertata che sarebbe a suo modo storica. Però è già di per sé significativo che tale dinamica si manifesti anche solo in una specifica azienda, perché analizzandone il modello di gestione del personale si possono tratte utili indicazioni. Come vedremo, in fondo è la scoperta dell’acqua calda: se si prevedono contratti regolari e pagati decentemente, se si pretende il giusto, se si programmano orari di lavoro umani e le pause doverose, non dovrebbe essere così difficile passare dall’ormai tradizionale “sono disperato, non trovo nessuno che vuol fare il cameriere”, a quanto ci dice Travagli: «È come se avessimo scollinato. Sono sorpreso io per primo. Non dico che l’emergenza sia superata, ma mi pare che si stia voltando pagina».
Rudy Travagli, neo-presidente di Noi di Sala. È nato a Cervia nel 1979, si è diplomato all’Istituto Alberghiero Pellegrino Artusi, poi ha lavorato in ristoranti prestigiosi come l’Enoteca Pinchiorri di Firenze e il The Fat Duck di Heston Blumenthal a Londra. Dal 2013 ha iniziato a lavorare all’interno del gruppo Enoteca La Torre, di cui è diventato socio nel tempo, avviando una carriera imprenditoriale nel settore della ristorazione. Oggi è a capo del servizio di sala e della selezione dei vini in tutte le strutture del gruppo
Partiamo, allora, proprio dall’emergenza. Di quella della sala si parla da tanto tempo, anche quando «forse era persino eccessivo definirla tale. Era l’epoca in cui su dieci curricula che arrivavano, nove erano per la cucina, uno solo per far parte del personale di servizio ». Poi, col Covid e dopo il Covid, la situazione è precipitata «ma non solo per noi. Mancavano e mancano medici negli ospedali, cassieri al supermercato… È una dinamica più generale, che riguardava e riguarda il mondo della ristorazione come tanti altri. Se però devo valutare gli ultimi mesi, mi sembra di assistere a una svolta».
Dice Travagli che gli stanno arrivando tanti curricula di persone che si candidano a far parte dello staff di sala, «sono soprattutto giovanissimi pronti a mettersi in gioco e lavorare». Chiediamo al neo-presidente di Noi di Sala se è un’osservazione condivisa da altri suoi colleghi. «No. Si basa su quanto accade nella realtà dove lavoro. Che però non è affatto piccola», si tratta dell’Enoteca La Torre Group, otto strutture tra catering e ristorante, tra cui l’omonimo bistellato romano: «Posso affermare che noi non abbiamo più alcun problema di personale. Per esempio, a Pasqua riapriremo il nostro ristorante stagionale sul mare, La Dogana a Capalbio. Dovrò formare la squadra, e potrò pescare, per la sala, su 25 candidature che sono già sulla mia scrivania. Sono tante. Se penso al pre-Covid, una cosa di questo genere non era neanche ipotizzabile, in un mese mi arrivava sì o no un curriculum».
PATTI CHIARI – Com’è possibile quanto vi stiamo raccontando? Tutto sommato la risposta è semplice: «Siamo un’azienda seria, ricca di professionalità, che mette in regola il proprio personale, paga gli stipendi con regolarità partendo da una base di 1.300-1.500 euro al mese, e rispetta l’orario delle otto ore giornaliere, salvo ovviamente eventi, catering particolari… Ma è l’eccezione, da vivere con un minimo di flessibilità, rispetto a un canone che è diverso. Qui da noi non c’è nonnismo, ci impegniamo a far star bene i nostri dipendenti, ciascuno ha il suo armadietto personale, la pausa garantita, i pasti». Nulla di folle, dovrebbe essere la normalità in un rapporto di lavoro di questo tipo, ma spesso non è così: «Un anno fa, quando ho selezionato il personale di sala per i nostri ristoranti all’interno di Rinascente, i candidati erano basiti perché proponevamo loro contratti regolari e per il livello di stipendio che offrivamo. Mi confidavano: “Fino a ora ho sempre lavorato in nero, a 400 euro al mese e spesso ho dovuto pure sollecitarne il pagamento”. Ovvio che così il personale scappa a gambe levate. Se questo è il mondo della sala, è evidente che nessuno voglia fare il cameriere».
FORMAZIONE – Travagli non dice che tutto sia rose e fiori, intendiamoci. I problemi esistono. In particolare, lui stesso ha difficoltà a reperire personale già formato, perché – come abbiamo visto prima – le candidature riguardano perlopiù giovanissimi con poca esperienza alle spalle. Bisogna quindi scommettere su di loro e sulla loro crescita nel tempo. «Ma è evidente come un imprenditore della ristorazione che compra la frutta o il vino in nero, che paga i dipendenti in contanti, non avrà alcuna intenzione di investire sulla formazione del proprio personale. E quindi finirà col perderlo in poco tempo, e avrà poi difficoltà a reclutarne di nuovo». Osserva Travagli: siamo noi, coi nostri comportamenti, con le nostre scelte, i motori di un cambiamento possibile. Il resto son chiacchiere.
COMUNICARE LA SALA – A proposito di chiacchiere: un altro aspetto sul quale Travagli insiste è quello della comunicazione. «Negli ultimi anni non si fa che parlare del mestiere di cameriere come qualcosa di faticoso, mal pagato, con poche prospettive di crescita e molte di sfruttamento puro e semplice». Una continua pubblicità negativa che, toh!, non spinge i ragazzi ad avvicinarsi in massa a questa professione. «In realtà questo lavoro è pieno di cose belle, se l’azienda che ti assume segue le regole. Un cameriere è vestito bene, ha un aspetto curato, opera in un ambiente elegante, parla con persone importanti, riceve da loro soddisfazioni professionali e spesso anche delle belle mance. Si crea contatti e relazioni utili per il presente e il futuro. Può girare il mondo, come ho fatto io». Diventando Rudy Travagli.