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  • Negli ultimi anni, i vini naturali sono diventati un argomento di grande discussione, ma cosa li caratterizza davvero? Tre elementi chiave: la viticoltura biodinamica, le fermentazioni spontanee e le lunghe macerazioni


    i vini naturali se ne parla molto, specialmente negli ultimi anni, ma tutti sanno davvero cosa sono? Ecco tre punti essenziali che caratterizzano questo prodotto tanto discusso e intorno al quale si suscitano dibattiti prolungati: la viticoltura biodinamica (che esclude l’uso di sostanze chimiche); le fermentazioni spontanee; le lunghe macerazioni sulle bucce.

    In Italia, sono approdati agli inizi degli anni 2000, ma solo ora stanno emergendo come un vero e proprio trend, tanto da spingere alcuni imprenditori a trasformare i loro wine bar in autentici paradisi per gli appassionati. Anche le liste dei vini di numerose attività stanno subendo questa metamorfosi, indipendentemente dalla loro categoria (enoteche, pizzerie, bistrot, trattorie, e altro ancora). Alcuni locali vantano scaffali con oltre 600 etichette.

    E i ristoranti di alta classe? Certamente non sono esclusi da questo fenomeno, anche se in misura minore, poiché la clientela internazionale rimane fedele alle grandi cantine storiche. Lo stesso vale per i ristoranti degli hotel, che hanno abbracciato l’inclusività di fronte alla crescente domanda. Fra le pagine delle loro carte, spiccano sempre di più i nomi di produttori noti, come quelli abruzzesi, friulani o emiliani.

    Ma si tratta solo di una tendenza? Assolutamente no. I vini naturali rappresentano un tributo all’artigianalità e alla sostenibilità, almeno idealmente. Non va trascurata l’importanza della pulizia cromatica e olfattiva, aspetti che oggi vengono sempre più valorizzati dai produttori e cercati dai consumatori. E così, nei ristoranti di alta classe, non sarà difficile trovare un abbinamento di vini esclusivamente naturali, con grande soddisfazione dei sommelier e dei clienti.



  • Accoglienza: nei ristoranti un mondo in grande crescita, anche legato alla sua consapevolezza e considerazione da parte dei clienti. Un nuovo Rinascimento, per così dire, della professione, di cui abbiamo parlato con Rudy Travagli, nuovo presidente dell’associazione Noi di sala e già maitre/sommelier dell’Enoteca La Torre, ristorante due stelle Michelin a Roma

    La sala, perlomeno la sala di certe realtà ristorative, si sta riscoprendo cool? La professione legata all’accoglienza è riuscita a “svecchiarsi”, togliendosi di dosso quello strato polveroso e fin troppo formale che fino a un paio di decenni fa la caratterizzava? Negli ultimi anni la professione legata alla sala sta vivendo una seconda giovinezza, grazie a tanti maitre e responsabili capaci di dare a questo mestiere, che rappresenta l’altra metà della riuscita di un servizio, una nuova e rinnovata considerazione. Ne abbiamo parlato con Rudy Travagli, maitre di Enoteca La Torre a Roma

    In sala una nuova luce ma senza “riflettori”

    Un mondo, quello della sala, che negli ultimi anni sta a suo modo vivendo ciò che visse 10-15 anni fa il mondo della cucina, quando gli chef, o meglio la figura dello chef, si riscoprì improvvisamente affascinante. E gli istituti alberghieri, da scuole che nell’immaginario collettivo erano destinate a chi aveva poca voglia di studiare, tornarono a riempirsi di giovani ambiziosi che sognavano una carriera in cucina. Con l’obiettivo, magari di ottenere la tanto ambita stella Michelin. Un processo sicuramente favorito dai media e dalla televisione in particolare, capace di gettare quasi un’aurea mistica (senza dubbio anche esagerando, nella creazione di figure più vicine a un guru che a uno chef) sulla professione del cuoco.

    Al contrario della sala: nessuna spinta, in questo caso, da parte di programmi o trasmissioni, ma una riconsiderazione del ruolo ottenuta grazie a tanti professionisti delle nuove generazioni che sono riusciti a “svecchiare” l’immagine della professione e del ruolo. Ed ecco come il cameriere, o il responsabile di sala, storicamente definito come il “pinguino” del ristorante, quello ingessato e freddo, quasi robotico, si è riscoperto pop, dinamico, meno rigido ma non per questo meno professionale. Affidabile, capace di costruire un rapporto con il cliente non basandosi più su quel freddo scambio di battute limitato alla comanda, ma accompagnandolo durante tutta l’esperienza in maniera spesso anche sartoriale

    Professione accoglienza, il “Rinascimento” della sala?

    Dicevamo: uno svecchiamento della professione, quasi un nuovo rinascimento per la sala che, per quanto sia sempre stata importante per la buona riuscita di un servizio, è stata fin troppo tempo considerata la “sparring partner” della cucina. Eppure se un servizio va bene e se lo giudichiamo positivamente ce ne usciamo dal ristorante con un buon ricordo della cucina, dei piatti e, perché no, anche dello chef che magari a fine pranzo o cena si è intrattenuto con noi ospiti. Quasi mai (o comunque meno spesso) un pensiero diretto alla sala, al maitre, a chi ci ha servito e chi ci ha seguito personalmente durante tutta la durata del pasto. Quasi come se il buon lavoro in sala fosse scontato, banale, mentre ciò che esce dalla cucina una perenne sorpresa in grado di stupirci. Quasi non considerando come la buona riuscita del concerto sia merito di tutti i componenti della band, non solo del chitarrista o del cantante. 

    Oltre la cucina: un buon servizio è merito anche della sala

    La sala è importante quanto la cucina nella buona riuscita di un servizio, di una serata, e quindi è giusto dare a chi lavora in sala il giusto merito, la giusta considerazione, il giusto valore. Grazie al lavoro di tanti professionisti del settore ora la figura del cameriere si sta riscoprendo pop, ambita, e questo viene dimostrato anche da sempre più numerosi corsi professionalizzanti. Citiamo l’Alma, così come Intrecci, la scuola di formazione di sala ideata e fondata dalle sorelle Cotarella a Castiglione in Teverina (Vt), giunta al suo settimo anno, capace di sfornare nel corso delle stagioni giovani figure destinate poi a farsi veramente le ossa nei grandi ristoranti d’Italia, ma non solamente, proseguendo così il loro percorso di crescita.

    Manca un programma tv dedicato alla sala, per riuscirlo a comunicare ? Numericamente, nella vasta offerta massmediatica moderna, forse sì, ma dopotutto ne sentiamo il bisogno? Considerando soprattutto come il mondo della cucina negli ultimi anni sia stato inflazionato, pompato e anche distorto nella sua considerazione, forse è meglio così. Forse è meglio che il mondo della sala prosegua la sua crescita organica, naturale, senza inutili (e probabilmente deleterie) forzature, lontano dalla luce dei riflettori massmediatici. Ha funzionato così fino a ora, grazie all’effettivo impegno “sul campo” dei diretti interessati, e ci auguriamo che continui così anche nei prossimi anni.

    Con Rudy Travagli, nuovo presidente di Noi di Sala

    A questo proposito abbiamo intervistato Rudy Travagli, maitre e sommelier di Enoteca La Torre a Roma (due stelle Michelin) e recentemente nominato anche nuovo presidente di Noi di Sala, associazione che mira a dare nuova visibilità ai professionisti dell’accoglienza oltre a lavorare per far comprendere il valore del servizio, nonché di un lavoro fatto di passione e continua formazione.

    Rudy, come sono stati questi primi giorni da nuovo presidente?
    Sono felicissimo di questa nuova nomina, anche perché da quando Noi di Sala è nata, cioè nel 2012, è sempre stato Marco (Reitano, del ristorante tre stelle Michelin La Pergola a Roma, ndr) il presidente ed essergli successore per me è motivo di grande orgoglio, un prestigio. Noi ce la sentiamo molto nostra questa associazione, l’abbiamo fondata quando ancora non si parlava di sala: oggi sembra tutto molto semplice e scontato, ma tornando a 12 anni fa la situazione era diversa, la considerazione della sala quasi inesistente. L’aver raggiunto i risultati e i numeri di oggi per noi, che abbiamo sempre lavorato con le nostre forze, è un motivo di grande contentezza. E il fatto che noi fondatori siamo rimasti tutti all’interno è un orgoglio in più. Da parte mia sono super felice, rappresentare un’associazione di categoria, la prima nata di questo tipo, per me è un grande onore.

    Quale sarà il tuo contributo per l’associazione  e quali nuovi progetti vi attendono?
    Penso sia importante che ognuno porti qualcosa di suo. L’associazione è fatta di tanti soci e dobbiamo fare il bene di tutti. Sicuramente rispetto a prima vorremmo ingranare una marcia in più, e questo passa attraverso una maggiore inclusione dei giovani. Da quando siamo partiti a oggi anche noi fondatori siamo per così dire maturati, abbiamo 11 anni in più di esperienza quindi chiaramente l’attenzione e lo spazio va riservato un po’ di più ai giovani, che vogliamo includere il più possibile nei nuovi progetti. Tornerà “Pass”, l’evento biennale più importante che abbiamo fatto in passato, punteremo tante forze su questo evento post estate, evento interamente dedicato al settore della sala. Stiamo riformulando e migliorando i nostri corsi, durante i quali implementeremo la parte dedicata al confronto con la cucina. Vogliamo creare una figura più completa rispetto al passato. Lavoreremo di più con le scuole alberghiere, vorremmo essere il ponte tra l’istituto e il lavoro, dando la possibilità al ragazzo una volta finita la scuola di essere indirizzato nel mondo del lavoro, per dare una continuità professionale rispetto alla formazione. Sarà un’associazione più viva e dinamica rispetto a prima, perlomeno è il nostro obiettivo, e questo passerà anche coinvolgendo figure “esterne” alla sala, come chef o mixologist, per ampliare anche il concetto legato all’accoglienza. Indubbiamente proseguirà inerente la guida, l’unica guida di sala che ci sia, dove vengono segnalati i migliori ristoranti rispetto alla parte del servizio.

    Ho l’impressione che negli ultimi anni la sala stia vivendo quel momento di “riscoperta” di cui fu protagonista la cucina 10/15 anni fa. Quando quasi all’improvviso la figura dello chef ha iniziato a essere affascinante, anche grazie alla tv, ora affascinante è il cameriere/maitre, e senza supporti televisivi. È davvero così?
    È un’impressione anche mia e questo se da una parte fa indubbiamente piacere dall’altra po’ mi fa paura, perché rischiamo quasi un effetto boomerang, Vorrei che, nonostante questa crescita della considerazione della sala, i ragazzi non abbiano come primo obiettivo quello di diventare delle “stelle” di questo mondo, ma siano disposti a fare la gavetta necessaria per arrivare ai più alti livelli. Anche attraverso colloqui che ho fatto vedo che non pochi ragazzi tanti ambiscono alla massima visibilità che questo mondo può offrire, non considerando però i sacrifici e il duro lavoro necessario per compiere questa scalata. I riflettori indubbiamente si sono accesi, è diventato cool il mondo della sala così come quello del vino, quindi questo mi auguro possa essere un vantaggio in tal senso. Poi il fatto che la nostra crescita sia stata organica, non dopata dalla televisione e programmi vari, è indubbio e fa sicuramente piacere. E la nascita di molti corsi di formazione è la prova di come questo settore sia ambito. 

    Come hai vissuto, dall’interno, questo cambiamento della considerazione dell’ “ambiente” sala?
    Dall’interno ho notato una crescita lenta ma costante. Il mio timore è legato a tutto ciò che succede intorno: fuori troppo spesso si parla di crisi del settore, di ragazzi sottopagati, di troppe ore di lavoro, e questo un po’ destabilizza il giovane, lo intimorisce. In realtà però è un lavoro che piace ai ragazzi, di cui i più giovani si possono innamorare perché è un mestiere che ti appassiona veramente, che ti mette a contatto con la gente, ti offre possibilità di confronto continuo e costante. Dall’interno vedo però che ci sono dei giovani che hanno questo amore verso questo lavoro e che c’è una crescita costante, soprattutto dopo la crisi post Covid la sensazione è che si ritorni a lavorare bene.

    Oggi, anche per via di una clientela sempre più giovane e appassionata, quanto è importante galleggiare tra formalità e informalità, pur sempre con la professionalità dovuta a un determinato tipo di contesto?
    Non penso sia così difficile, se uno ha le competenze giuste con le proprie qualità riesce a rapportarsi al meglio con cliente, capire le sue necessità ed esigenze, capire se sia opportuno essere più o meno distaccato e formale, o se ha bisogno di un po’ più di informalità. È anche questo il bello dell’accoglienza. Credo che noi siamo abituati giornalmente ad avere tavoli diversi, clienti differenti, quindi chi è in sala cerca di adeguarsi alla tipologia di ospite che si ha davanti. Negli ultimi anni l’età del cliente si è abbassata molto, ma non vedo difficoltà particolari o cambiamenti di approccio in questo senso, il nostro lavoro è essere camaleontici focalizzare per bene chi si ha davanti. 

    Parlando sempre di clienti, c’è qualcosa in un ospite che ti disturba?
    Sì, quando mi trovo davanti qualcuno alla ricerca quasi spasmodica dell’errore, del difetto, tanto nel servizio quanto in un piatto. L’atto dell’uscire a cena dovrebbe rappresentare tutto il contrario, il godersi una serata in modo spensierato, non impegnandosi a individuare il difetto ovunque e in chiunque. Quindi al cliente dico: goditi il tuo momento a tavola, a farti star bene proviamo a pensarci noi. 

    La grande crescita del mondo sala negli ultimi anni è legata anche a una maggior consapevolezza interna. Come vedi il futuro della professione?
    Non so come un ragazzo possa non scegliere di fare sala. Siamo vestiti bene, abbiamo la cravatta, magari si alza qualche mancia in più, abbiamo camicia su misura, non capisco come un ragazzo possa preferire la cucina alla sala (ride, ndr). Sei a contatto con chiunque, vedi persone anche importanti, chiacchieri con loro, ti confronti con tanta gente. Secondo me siamo in una condizione migliore rispetto alla cucina. Dall’altra parte ritengo come il nostro mondo sia in miglioramento: abbiamo avuto una crisi legata al Covid ma negli ultimi tempi credo che la situazione stia migliorando, anche perché la tendenza è quella di favorire le migliori condizioni possibili del ragazzo che si approccia e vive questo mestiere. I casi in cui si fanno anche 15 ore di lavoro sono in netta diminuzione, i turni sono più sostenibili, le paghe si stanno adeguando. Il fatto, e qui parlo di Enoteca La Torre, di aver “aggiustato” anche l’orario di arrivo dei clienti ci permette di tornare a casa molto prima rispetto a qualche anno fa, quando si staccava magari alle due di notte, oggi siamo capaci di chiudere a mezzanotte. Questo ci ha permesso di ridurre di molto il monte ore. Oggi abbiamo a disposizione tutte le possibilità per andare a star meglio, per migliorare le condizioni e anche la considerazione del settore. E ciò contribuisce a conferire un appeal migliore al nostro lavoro. 

    Per chiudere, dovessi indicare a un giovane le caratteristiche fondamentali che deve avere un buon cameriere, quali gli diresti?
    Nulla che c’entri esclusivamente o direttamente con il nostro mestiere. Per me l’educazione e la passione sono le due cose necessarie, poi il mestiere si impara: tanti ragazzi quando vengono a fare il colloquio sono magari intimoriti perché alcune cose non sanno farle, io se capisco se chi ho davanti sia o meno a modo lo tranquillizzo, se vedo buone maniere e passione per questo lavoro allora non gli precludo nulla. Il resto, se c’è buona volontà, si impara.



  • Una svolta? Parla Rudy Travagli, neo-presidente di Noi di Sala: mai ricevute tante candidature come in questi mesi, e son tutti giovanissimi. «Seguiamo le regole, non sfruttiamo nessuno, paghiamo regolarmente. Smettiamola di parlar male di questo lavoro»

    Emergenza sala? Un leitmotiv che ci accompagna da anni. Ma… «Non mi sono mai arrivati tanti curricula, quanti negli ultimi mesi. Sono tutti di persone che vogliono intraprendere la professione di cameriere. E, altra nota positiva, si tratta perlopiù di giovani o giovanissimi». Un punto di vista così diverso su un tema dibattuto allo sfinimento è di per sé una notizia, e nello specifico una notizia che ci fa piacere. Tali parole sono ancor più significative quando a pronunciarle è Rudy Travagli, ossia il neopresidente di Noi di Sala, l’associazione nata proprio con lo scopo di rivalutare la professione del cameriere nella ristorazione.

    «Mi prenderanno per pazzo», ci confida Travagli, prima di dire la sua. E di certo bisogna precisare subito che lui parla innanzitutto della propria realtà aziendale, non di un trend generale e consolidato, non di una inversione di tendenza accertata che sarebbe a suo modo storica. Però è già di per sé significativo che tale dinamica si manifesti anche solo in una specifica azienda, perché analizzandone il modello di gestione del personale si possono tratte utili indicazioni. Come vedremo, in fondo è la scoperta dell’acqua calda: se si prevedono contratti regolari e pagati decentemente, se si pretende il giusto, se si programmano orari di lavoro umani e le pause doverose, non dovrebbe essere così difficile passare dall’ormai tradizionale “sono disperato, non trovo nessuno che vuol fare il cameriere”, a quanto ci dice Travagli: «È come se avessimo scollinato. Sono sorpreso io per primo. Non dico che l’emergenza sia superata, ma mi pare che si stia voltando pagina».

    Rudy Travagli, neo-presidente di Noi di Sala. È nato a Cervia nel 1979, si è diplomato all’Istituto Alberghiero Pellegrino Artusi, poi ha lavorato in ristoranti prestigiosi come l’Enoteca Pinchiorri di Firenze e il The Fat Duck di Heston Blumenthal a Londra. Dal 2013 ha iniziato a lavorare all’interno del gruppo Enoteca La Torre, di cui è diventato socio nel tempo, avviando una carriera imprenditoriale nel settore della ristorazione. Oggi è a capo del servizio di sala e della selezione dei vini in tutte le strutture del gruppo

    Partiamo, allora, proprio dall’emergenza. Di quella della sala si parla da tanto tempo, anche quando «forse era persino eccessivo definirla tale. Era l’epoca in cui su dieci curricula che arrivavano, nove erano per la cucina, uno solo per far parte del personale di servizio ». Poi, col Covid e dopo il Covid, la situazione è precipitata «ma non solo per noi. Mancavano e mancano medici negli ospedali, cassieri al supermercato… È una dinamica più generale, che riguardava e riguarda il mondo della ristorazione come tanti altri. Se però devo valutare gli ultimi mesi, mi sembra di assistere a una svolta».

    Dice Travagli che gli stanno arrivando tanti curricula di persone che si candidano a far parte dello staff di sala, «sono soprattutto giovanissimi pronti a mettersi in gioco e lavorare». Chiediamo al neo-presidente di Noi di Sala se è un’osservazione condivisa da altri suoi colleghi. «No. Si basa su quanto accade nella realtà dove lavoro. Che però non è affatto piccola», si tratta dell’Enoteca La Torre Group, otto strutture tra catering e ristorante, tra cui l’omonimo bistellato romano: «Posso affermare che noi non abbiamo più alcun problema di personale. Per esempio, a Pasqua riapriremo il nostro ristorante stagionale sul mare, La Dogana a Capalbio. Dovrò formare la squadra, e potrò pescare, per la sala, su 25 candidature che sono già sulla mia scrivania. Sono tante. Se penso al pre-Covid, una cosa di questo genere non era neanche ipotizzabile, in un mese mi arrivava sì o no un curriculum».

    PATTI CHIARI – Com’è possibile quanto vi stiamo raccontando? Tutto sommato la risposta è semplice: «Siamo un’azienda seria, ricca di professionalità, che mette in regola il proprio personale, paga gli stipendi con regolarità partendo da una base di 1.300-1.500 euro al mese, e rispetta l’orario delle otto ore giornaliere, salvo ovviamente eventi, catering particolari… Ma è l’eccezione, da vivere con un minimo di flessibilità, rispetto a un canone che è diverso. Qui da noi non c’è nonnismo, ci impegniamo a far star bene i nostri dipendenti, ciascuno ha il suo armadietto personale, la pausa garantita, i pasti». Nulla di folle, dovrebbe essere la normalità in un rapporto di lavoro di questo tipo, ma spesso non è così: «Un anno fa, quando ho selezionato il personale di sala per i nostri ristoranti all’interno di Rinascente, i candidati erano basiti perché proponevamo loro contratti regolari e per il livello di stipendio che offrivamo. Mi confidavano: “Fino a ora ho sempre lavorato in nero, a 400 euro al mese e spesso ho dovuto pure sollecitarne il pagamento”. Ovvio che così il personale scappa a gambe levate. Se questo è il mondo della sala, è evidente che nessuno voglia fare il cameriere».

    FORMAZIONE – Travagli non dice che tutto sia rose e fiori, intendiamoci. I problemi esistono. In particolare, lui stesso ha difficoltà a reperire personale già formato, perché – come abbiamo visto prima – le candidature riguardano perlopiù giovanissimi con poca esperienza alle spalle. Bisogna quindi scommettere su di loro e sulla loro crescita nel tempo. «Ma è evidente come un imprenditore della ristorazione che compra la frutta o il vino in nero, che paga i dipendenti in contanti, non avrà alcuna intenzione di investire sulla formazione del proprio personale. E quindi finirà col perderlo in poco tempo, e avrà poi difficoltà a reclutarne di nuovo». Osserva Travagli: siamo noi, coi nostri comportamenti, con le nostre scelte, i motori di un cambiamento possibile. Il resto son chiacchiere.

    COMUNICARE LA SALA – A proposito di chiacchiere: un altro aspetto sul quale Travagli insiste è quello della comunicazione. «Negli ultimi anni non si fa che parlare del mestiere di cameriere come qualcosa di faticoso, mal pagato, con poche prospettive di crescita e molte di sfruttamento puro e semplice». Una continua pubblicità negativa che, toh!, non spinge i ragazzi ad avvicinarsi in massa a questa professione. «In realtà questo lavoro è pieno di cose belle, se l’azienda che ti assume segue le regole. Un cameriere è vestito bene, ha un aspetto curato, opera in un ambiente elegante, parla con persone importanti, riceve da loro soddisfazioni professionali e spesso anche delle belle mance. Si crea contatti e relazioni utili per il presente e il futuro. Può girare il mondo, come ho fatto io». Diventando Rudy Travagli